Le campagne elettorali negli Stai Uniti fanno spesso parlare per i budget stellari e per le scelte strategiche: se Obama è stato il primo ad aprire una pagina Facebook legata a un progetto politico, Mike Bloomberg, candidato alle primarie democratiche per la presidenza degli Stati Uniti, sta già facendo parlare di sé.
A febbraio @fuckjerry, uno dei più grandi account meme americano su Instagram, ha pubblicato gli screenshot di presunti DM con Bloomberg, prendendosi gioco di una politica fuori dal mondo, che chiede aiuto “ai giovani” per sembrare più cool.
L’account tuttavia non lascia spazio all’interpretazione e scrive: “yes this is really sponsored by @mikebloomberg.”, attivando anche il tool di segnalazione partnership di Instagram.
Secondo il New York Times, la campagna di Bloomberg, chiamata “Meme 2020”, è guidata proprio dallo chief executive di Jerry Media in persona, Mick Purzycki, (la società che gestisce anche @fuckjerry) e sta lavorando con circa altri 20 meme community da milioni di follower, come @grapejuiceboys, @ tank.sinatra e @MrsDowJones.
Bloomberg e Purzycki stanno mettendo in piedi di fatto la prima campagna politica sostenuto da social creator con una “meme strategia”.
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L’utilizzo di community di meme nella politica è una strategia vincente? Alla luce dei risultati ottenuti, la risposta è: no. La campagna social non ha fruttato neanche lontanamente i risultati sperati, infatti il ricco imprenditore si è posizionato terzo più o meno ovunque, dietro a Joe Biden e Bernie Sanders. Ma c’è di più, i sentori per il fallimento della campagna già erano abbastanza chiari prima dell’esito: sui social in moltissimi hanno minacciato di unfolloware l’account sin da subito, e anche alcuni personaggi pubblici e VIP hanno condiviso il loro disappunto. Che sia di monito per il futuro, cari politici: i consensi non si guadagnano a colpi di like.